Roberta Amadeo, a 54 anni, ha vinto il Campionato italiano Handibke, pochi giorni fa ha vinto la Maglia Rosa, nella sua categoria H2, al Giro d’Italia Handbike 2024 ed è arrivata seconda nel mondiale di Zurigo, a fine settembre, nella sua categoria H2. Un anno da ricordare, un futuro da scrivere e un'idea chiara: "lo sport fa stare bene, con se stessi, con lal salute, con gli altri".
25/10/2024
Anche se la sua faccia, su podio di Zurigo, testimoniava che quel secondo posto un po' le rodeva - lei che ha vinto per sei volte il mondiale di handbike nella sua categoria e solo l'anno prima era stata medaglia d'oro - forse, a sentire lei, la “Roberta d’argento” è stata la sua migliore versione del 2024:
« E' vero: sono stata sei volte campione del mondo - ammette- e arrivare seconda è un'esperienza nuova. Chi non preferiresce arrivare primo, potendo? Però quella di Zurigo è stata comunque la mia migliore prestazione di quest’anno. In un anno di alti e bassi, dove anche per vicende familiari la mia testa non era sempre libera e non riuscivo a dare il massimo neanche in allenamento, in un anno dove a volte i sintomi della SM si sono fatti sentire in modo impattante, a Zurigo sono andata fortissimo, sia a cronometro che in linea».
Quello di Zurigo – racconta Roberta facendoci entrare un po’ nei dettagli tecnici della corsa .era un percorso snervante, c’erano tante salite a singhiozzo, si saliva un po’, si scendeva o stava in piano, poi si riprendeva con un’altra salita: «io preferirei – aggiunge - un tracciato con salite più lunghe, dove prendi il ritmo e poi vai. Invece queste salite a singhiozzo ti costringono continuamente a rilanciare e riprendere la pedalata».
In un’atleta straordinaria – a volte l’abbiamo chiamata Robocop – è bella anche l’immagine di una persona soddisfatta e contenta del secondo posto: nella vita non si può sempre vincere, lo abbiamo imparato tutti. A volte – o spesso – troviamo avversari più forti di noi. Primo fra tutti, il tempo che passa e. giorno dopo giorno, ci cambia, come la goccia che scava la roccia. Però, se hai dato il meglio di te stessa, allora hai vinto comunque.
«La ragazza americana che ha vinto – dice Roberta – ha 28 anni meno di me e, per quanto abbia purtroppo una lesione midollare importante, non deve contrastare i problemi di affaticabilità che porta la sclerosi multipla. Alla partenza sapevo già che non avrei potuto batterla, coi miei 40 anni. Ma mi ero preparata con cura, ero stata due settimane a Livigno, in montagna, per migliorare la forma e ho fatto la mia gara, mettendoci tutto quello che avevo. Alla fine avevo la lingua di fuori, ma ero stravolta e felice».
Sai – mi viene da dirle - a volte avrei anche io voglia di uscire in bici, solo che poi, quasi sempre, non mi metto in strada.
La sua risposta è pronta, rapida come la sua “pedalata”: «allora la voglia non è poi così tanta».
Per Roberta, se vuoi puoi. Se vuoi, lo fai. E l’età conta relativamente.
«A ritirarmi non ci penso proprio – dice -. Fino a quando saprò di avere cartucce da sparare, io andrò avanti. Poi guarderò le fotografie dei miei podi, o farò altro. Ma a smettere non ci sto pensando proprio. Anzi: visto che per diversi motivi ho iniziato a fare handbike quando già avevo una certa età, voglio ora utilizzare tutto il tempo possibile per recuperare un po’ della gioia anche degli anni che ho perduto prima (se la ride)».
Cosa c’è di così speciale nel mettersi a fare fatica, nel pedalare sui rulli in box per allenarsi, nel guardare il cielo dal basso verso l’alto in gara invece che stare al bar a bere un caffè da sola o in compagnia?
«C’è che fare sport mi fa bene – mi dice -. Alla fine della gara di Zurigo, dopo la consegna della medaglia, ho detto a chi mi intervistava che dedicavo questa nuova medaglia alla mia famiglia e a tutte le persone con sclerosi multipla che magari non possono salire su una handbike, ricordando però a tutte noi persone con sclerosi multipla che movimento e sport ci fanno stare bene. Ognuno può scegliere un proprio modo, praticabile, per mantenersi in movimento. Un minimo di movimento, per chi ha serie difficoltà anche solo ad alzarsi dal letto, è comunque un piccolo ma grande toccasana. Non so se si possa dire che fare sport e movimento sia una vera e propria terapia, ma certamente è una spinta di grande qualità a vivere bene, oltre la sclerosi multipla. Mi piace anche tanto il fatto che, quando sono sull’handbike e inizio a pedalare con mani e braccia, in tutto quel tempo mi vivo come una persona attiva e non sono concentrata sulla sclerosi multipla, ma su abilità che, se non facessi sport, magari non saprei nemmeno di avere o non terrei in considerazione. E poi mi accorgo sempre che essermi allenata alla fatica, alla fine, mi fa sentire meno la fatica della vita di ogni giorno. E se ho un problema fisico, tutto l’allenamento che ho fatto mi consente di recuperare prima».
Poi c’è quella cosa del bar e della chiacchierata tra amici: a te, che lavori, sei Presidente dell'AISM di Como, ti alleni ogni volta che puoi non manca, qualche volta, il gusto di un tempo libero per non fare niente?
«Se prendi due persone che parlano al bar, quando iniziano a parlare della propria vita succede, spesso, che si mettono a raccontarsi le difficoltà reciproche e quasi sempre va a finire che si fa a gara per dimostrare chi dei due ha il problema più grande: “Ah, sapessi, a me è successo anche peggio di quello che capita a te”. Invece quando due sportivi si incontrano spesso si va a misurare la parte migliore dell’altro, ci si domanda come emulare l’altro. “Non so se sarei in grado di fare quello che riesci a fare tu”. Mi è capitato di dirlo e di sentirmelo dire. Così, insomma, invece che parlare dei limiti, delle disgrazie, delle malattie, di chi sta peggio, ci si confronta sul meglio, sulle abilità che ciascuno ha, sul prossimo traguardo, sull’obiettivo di miglioramento. Tu cosa preferisci, delle due?»
Io, preferisco il caffè al bar, anche da solo, al limite, se l'alternativa è parlare solo dei problemi che non mancano mai.
«Sai, a noi del mondo dell’handbike il tempo della relazione buona non manca. Amo andare non solo ai Mondiali ma anche alla corsa per la “Sagra della salamella”. In quelle occasioni abbiamo tutti modo di goderci quello che nel rugby si chiama “il terzo tempo”: dopo i due tempi della partita, finite le ostilità sportive, ci si trova tutti insieme, vincitori e vinti, persone che hanno corso e persone che hanno guardato la gara dalla strada, e si festeggia, si mangia, si beve, si parla. Non si è mai soli a pedalare, nella vita».